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OPINIONE - Blindate Charles, contro tutto e tutti: lui è la Ferrari

Marco Romandini
Charles Leclerc
Charles LeclercAFP
Leclerc incarna lo spirito Ferrari e va salvaguardato per il bene della Rossa e per i cuori dei suoi tifosi.

Nella settimana più difficile, in cui non sono mancati anche gli attacchi del consigliere Red Bull, Hemut Marko, che elogiando Carlos Sainz non ha risparmiato critiche a Leclerc gettando anche ombre sul suo futuro, il monegasco col numero 16 della Rossa ha risposto alla grande, a modo suo. Cioè con due pole, una per la gara e l’altra per la sprint race nella shootout. 

Come dice Marko, è vero anche che il suo compagno Sainz è riuscito finora a far meglio di lui. Come una formichina che accumula mollichine, Carlos accumula punti con la sua condotta regolare. I due si completano e per fortuna c'è anche intesa. Lo spagnolo è un ottimo pilota ed è un bene averlo per la Ferrari.  Ma non è Charles Leclerc. Non lo è almeno nei cuori dei tifosi.

La Rossa è da sempre passione e i tifosi della Rossa amano i passionari. Il coraggio, la spregiudicatezza, l’acceleratore a tavoletta di Charles rimandano all’immaginario più autentico della Formula 1, a cosa rappresenta questo sport per chi lo ama. Nonostante tutte le modifiche per la sicurezza, nonostante sia diventato sempre più cerebrale, privilegiando una strategia giusta di cambio gomme a un sorpasso.

Per i tifosi di questo sport l’ideale sarà sempre un’icona alla Steve McQueen, alla vita spericolata, alla velocità capace di sprigionare adrenalina come poche altre cose al mondo. La capacità di sorpassare l’avversario staccando l’acceleratore più tardi e prendendosi di conseguenza più rischi, la capacità di esaltarsi nei duelli, di vincerli con l’istinto più che con i calcoli. È questa la vera anima della Formula 1 ed è questo che piace ai tifosi.

Un’anima incarnata perfettamente da Charles Leclerc, che in quei duelli se ha la macchina giusta è un mago. La sua spregiudicatezza in pista e Il suo viso da bambino, sorridente ma velato da un fondo di irrequietezza, ricordano un altro mito della Ferrari, anche lui francofono: Gilles Villeneuve. Il canadese capace come nessuno forse nella storia (bisogna magari tornare agli anni ‘30, con le peripezie di Tazio Nuvolari) di accendere gli animi dei tifosi della Rossa.

Certo, c’era un certo Michael Schumacher, come dimenticarlo. Il pilota tedesco però, uno dei pochi in grado di coniugare ai massimi livelli velocità, calcolo, freddezza nei momenti decisivi, era una macchina quasi troppo perfetta per essere amata alla follia. Nonostante i successi, nonostante il grandissimo pilota che era. La graditudine è immensa, ma l'amore, si sa, è irrazionale. 

È lo stesso motivo per cui ai tempi del binomio Prost-Mansell, nonostante la caratura mondiale del primo, accendeva gli animi dei tifosi più il secondo. Così come i tifosi gli preferirono anche il giovane combattivo ma sfortunato Jean Alesi, che sostituì come seconda guida al fianco del francese proprio Il leone inglese dell’isola di Man.

Nigel Mansell, con i suoi baffetti arrogantelli, concluse il suo biennio Ferrari nell’89-90 con tre sole vittorie. Il grandissimo Gilles Villeneuve, che non riuscì purtroppo a completare il suo quinto anno con la Rossa per la tragedia di Zolder, nel 1978-1982 riuscì a racimolare solo sei vittorie. Non saranno stati campioni negli albi ma lo erano nei cuori: guide spericolate, spesso poco apprezzate dai colleghi, ma adorate dai tifosi.

Nel 1979 il canadese chiuse secondo alle spalle del compagno di squadra, il sudafricano Jody Scheckter, contribuendo così anche al Mondiale Costruttori. Tornati ad avere un campione del mondo, i tifosi della Rossa applaudirono Scheckter, ma i cuori continuavano a essere rivolti un po' più in là, verso lo spregiudicato compagno di squadra. Cosa resterà nei loro occhi al termine di quell'annata? Il duello ruota a ruota di Villeneuve con René Arnoux al GP di Francia.

Ecco perché Charles va salvaguardato. Perché è l’ultimo esemplare di questa stirpe. Quel genere di pilota che esprime al meglio la passione Ferrari, e non si trasforma in un freddo calcolatore come chi l’ha preceduto, pensiamo a Vettel ma anche allo stesso Alonso, che è tornato leone ora ma che in Ferrari quella passione e quella grinta non le ha mai mostrate. Persino Eddie Irvine, un altro parecchio amato dai ferraristi, perse il suo mordente come seconda guida di Schumacher.

Leclerc no, lui è rimasto lo stesso: niente calcoli, nel bene e nel male. Pole ed errori che si potevano sicuramente evitare, dettati dalla troppa foga o da una mancata capacità di gestire vantaggio e gomme . Ma va bene così. Non invidiamo i Verstappen, o ancora prima gli Hamilton. Teniamoci Charles e diamogli una macchina veloce. Pazienza se le vittorie non arriveranno così copiose, perché la gara è un’altra storia, come continua a dire lo stesso monegasco, conscio della supremazia Red Bull. 

Teniamoci Charles. Trattenerlo è un dovere verso i tifosi, ancora più che un progetto per il presente e per il futuro. È un dovere anche verso la storia di questo marchio. È soprattutto un patto d'amore: lui ama la Ferrari, la Ferrari lo ama. Non serve altro. Ditelo anche all'arrogante Helmut Marko.