Champions League: la Juve, il destino e l'uomo della Provvidenza

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Champions League: la Juve, il destino e l'uomo della Provvidenza

Champions League: la Juve, il destino e l'uomo della Provvidenza
Champions League: la Juve, il destino e l'uomo della ProvvidenzaAFP
La squadra di Massimiliano Allegri ha un solo risultato utile. Vincere nella tana del Benfica è impresa quasi impossibile quest'anno, ma non ci sono altre strade per sperare. Per farlo, deve ritrovare il suo campione.

“Non siamo padroni del nostro destino”. Non è una disquisizione teologica sulla predestinazione, non c’entrano né Lutero né Descartes. È Benfica-Juventus e sono le parole di Massimiliano Allegri (55) in conferenza stampa. Una frase forte che sottolinea tutta la disperazione di una situazione ormai forse irrimediabilmente compromessa nel girone H, dopo un’umiliante sconfitta in Israele contro il Maccabi Haifa, con cui la Juve si trova tristemente appaiata in coda a 3 punti. Lassù, nell’Olimpo, a ben cinque lunghezze, ci sono il miliardario PSG di Nasser Al-Khelaifi con il suo trio delle meraviglie Lionel Messi (35) - Neymar (30) -  Mbappé (23) e il più umile, almeno in termini economici, Benfica.

Squadra notoriamente tosta che quest’anno è diventata tostissima. Nessuno è infatti riuscito a batterla, non c’è riuscito neanche il PSG che ha dovuto accontentarsi di un semplice pareggio. Il tecnico Roger Schmidt (55) ha portato velocità in un campionato notoriamente dai ritmi compassati, coraggio, intensità, pressing. Una costanza quasi asfissiante nell’attaccare il portatore di palla per poi verticalizzare sugli esterni o servire il cervello Rafa Silva (29), che insieme a Enzo Fernandez (21) fornisce equilibri alla squadra. Un centrocampo in cui spicca anche un ritrovato Joao Mario, che quest’anno ha riempito tante caselle: 4 gol e 3 assist in campionato su 9 partite disputate, 2 gol e 3 assist su 8 in coppa.

Non ci sono solo loro, c’è anche il caldissimo stadio Da Luz a fare la differenza, che in campionato ha portato 5 vittorie su 5. E se consideriamo che il PSG è stato fermato in casa 1-1, mentre la Juve è stata addirittura sconfitta 2-1, questo dà la dimensione dell’impresa che dovranno compiere gli uomini di Allegri stasera martedì 25 ottobre nella tana lusitana. Un appuntamento a cui la Juve arriva tutto sommato con il morale alto, dopo la vittoria nel derby e quella ancora più convincente in casa contro l’Empoli, con un bottino di gol che dalle parti di Torino con Allegri in panchina si è visto raramente.

Merito forse di un assetto più equilibrato, quel 3-5-2 che garantisce sostanza a centrocampo e migliore manovra in attacco. In difesa, complice l’assenza di Bremer (25), il tecnico si è affidato all’esperienza di Danilo (31), Bonucci (35) e Rugani (28) mentre a centrocampo sembra aver trovato una quadra e poggiarsi sempre più sull’entusiasmo di Adrien Rabiot (27), fino a due anni fa oggetto misterioso, mentre lo scorso buono solo a tratti. Al suo fianco un ritrovato Weston McKennie (24), anche nella forma fisica, e un discreto Manuel Locatelli (24), anche se da lui ci si aspetta di più. L’ex Sassuolo è riuscito comunque a scalzare nelle gerarchie il pupillo del tecnico, Leandro Paredes (28), che tanto ha desiderato, chiesto e infine ottenuto per dare una regia a una squadra povera di gioco.

La svolta è stata però in avanti, con il passaggio a due attaccanti. Prima Dusan Vlahovic (22) e Arkadiusz Milik (28), nelle ultime Moise Kean (22) al posto dell’ex Napoli. Sembrano lontani i tempi in cui Vlahovic calpestava l’erba dell’area avversaria senza veder palla, braccato dai difensori, solo e intristito. Ora le spalle larghe, l’esperienza e l’intelligenza calcistica di Milik o l’entusiasmo di Kean (spesso troppo impreciso) servono quantomeno a rivitalizzare un reparto asfittico. Ma per fare il salto di qualità c’è bisogno di lui, il gioiello (sia in termini tecnici che economici) venuto da Firenze. Vlahovic deve dimostrare di valere il prezzo che è stato pagato, deve tornare quella furia che era in maglia viola, deve insomma fare la differenza. E farla quando più conta. Al Da Luz, tanto per iniziare. Perché al contrario della Juve, Vlahovic è padrone del suo destino. Con buona pace di Lutero.