Grande tra i grandi: Luciano il perfezionista conquista l'Italia e l'Europa
Luciano il perfezionista
A un certo punto della stagione, l'Europa intera parlava e guardava le partite del Napoli. Già prima dell'irruzione in scena del Mondiale in Qatar, la squadra di Luciano Spalletti aveva fatto capire che quest'anno sarebbe stato molto difficile per chiunque tenere il suo passo in campionato.
Per non parlare della lezione di calcio impartita, in mondovisione, al Liverpool. Il fenomeno azzurro, infatti, va analizzato ben oltre i risultati e l'egemonia indiscussa sulla Serie A. A fare sensazione e destare l'interesse di mezzo continente, infatti, è stato il modo in cui gli uomini di Spalletti hanno sbaragliato la concorrenza sia in Italia e, fino a un certo punto, anche in Europa.
La forma - la sinuosa forma - che diventa prorompente sostanza e che non necessariamente avrebbe avuto bisogno di essere accompagnata dai risultati per apprezzare fino in fondo la qualità di una squadra al quale il proprio allenatore non ha mai permesso di lasciare nulla al caso.
Ciononostante, è stato proprio il fatto che, oltre a giocare divinamente, il suo Napoli perfetto vinceva anche una partita dopo l'altra - segnando tanto e incassando poco - a permettere alla figura del tecnico toscano di diventare sempre più grande. Un gigante.
Finalmente grande tra i grandi
Un vero e proprio gigante della panchina. Un grande tra i grandi. Ai complimenti di Jurgen Klopp si sono aggiunti, dopo aver schiantato l'Eintracht agli ottavi di Champions League, quelli di Pep Guardiola che aveva elogiato gli azzurri assicurando che sarebbero potuti arrivare fino in fondo alla massima competizione europea.
Parole che, inizialmente, Spalletti non aveva preso molto bene definendole, pubblicamente, un "giochino" atto a mettere pressione ai propri uomini. Reazione piccata alla quale il tecnico del Manchester City decise di non rispondere: "Non parlo del Napoli altrimenti il suo allenatore si arrabbia. È molto sensibile...".
Un battibecco che Spalletti ha chiuso alzandosi in piedi in sala stampa e con una battuta sul "caffé turco da prendere assieme a Istanbul" (in caso di arrivo in finale di Champions delle loro due squadre) e che conferma come l'allenatore del Napoli sia oramai diventato un punto di riferimento tecnico-tattico e, perché no?, dialettico non solo per i propri ragazzi, ma anche per i grandi allenatori del vecchio continente.
Un cruccio chiamato Milan
Chissà se e quanto continua a bruciare l'eliminazione in Champions a un allenatore che ha spazzato via la concorrenza in Serie A e che, anche se ironicamente, dava già appuntamento a un suo collega nella città dove si giocherà la finalissima. Soprattutto perché a fare fuori il suo Napoli in Europa è stata proprio una squadra italiana che potrebbe chiudere il campionato con 30 punti in meno in classifica.
Niente e nessuno potrà macchiare l'impresa di una squadra che ha riportato all'ombra del Vesuvio il tricolore 33 anni dopo l'ultima volta. Anche perché, per dirla tutta, quella campana non era nemmeno mai riuscita a entrare tra le otto migliori squadre del vecchio continente. Un traguardo che proprio Guardiola ha definito parziale perché, secondo lui, "il Napoli ci riproverà l'anno prossimo".
Ciononostante, la sensazione che ha lasciato la doppia sfida contro il Milan è che la capolista non se la sia giocata al massimo delle proprie possibilità: un po' per le assenze (Osimhen all'andata e Anguissa al ritorno); un po' perché i rossoneri, tutt'altro che brillanti in questa stagione, si sono invece superati sorprendendo i rivali e un po' per l'inopportuno poker incassato al Maradona, alla fine di una partita disputata in un'atmosfera surreale a causa della protesta degli ultras partenopei, proprio contro Leao e compagni dieci giorni prima della doppia sfida di Champions.
"Se allo stadio non c'è l'ambiente giusto, me ne torno a casa", minacciò il tecnico toscano, dopo la sconfitta di misura rimediata nella gara d'andata, proiettandosi così verso l'incontro di ritorno. Il danno, però, era già stato fatto ed è proprio per questa ragione che non essere arrivati a una finale ampiamente alla portata, per qualità tecnico-tattiche, è l'unico cruccio di una stagione perfetta.